_VIZIO DI GIOVENTÙ

VIZIO DI GIOVENTÙ

Scrivere canzoni è stato ed è tuttora il mio vizio più morboso, che non sono mai riuscito a domare e che provoca ancora oggi una sorta di dipendenza.
Quest’abitudine, acquisita da ragazzino, in un certo senso ha avuto una svolta al compiere dei vent’anni, quando l’assuefazione alla scrittura si strutturò e radicò indissolubilmente. Per questi motivi, un giorno mi piacerebbe pubblicare un album o bootleg dal titolo Vizio di gioventù. Canzoni 1991-1996, contenente alcune di quelle vecchie composizioni, quali “Canzone già sentita”, “Tolù”, “Sulla strada”, “Funerale di un anarchico”, “Questi ubriachi”, “Dio e il mercenario”, “La figlia del padrone”, “Canzone del tempo che passa”, “Ballata di un paese”, “Le piogge di marzo”, “Il moribondo”, “Francesca”, “Se io fossi Giuseppe”, etc. A pensarci bene, anche “Il professore” e “Barba bianca” risalgono a quel periodo.
Nella stesura originaria, “Il professore” parlava di un uomo nubile studioso patologico di storia greca e forte bevitore che, a un certo punto della vita, viene eletto sindaco nel paese dove abita (Fu così che un giorno sindaco fui eletto). Poco dopo la nomina la comunità scopre i suoi punti deboli e decide di denigrarlo facendosi così beffa del suo primo cittadino, proprio di colui che delegò in sua rappresentanza nella cabina elettorale. Decise di umiliarlo sia per il vizio di bere che per quello di studiare, ma forse era solo invidia. Fin da allora ero ossessionato dalla letterarietà dei racconti, mai dalla ricerca dell’originalità musicale e compositiva.
Dal punto di vista creativo, ma non solo, mi manca molto la gioventù, quella dei vent’anni — poco più o poco meno —, certamente ingenua, ma capace di sognare possibilità e sbocchi per il futuro, speranze che, col passare degli anni, hanno ceduto il posto alle disillusioni.
Mi pare di essere sul ponte di poppa di una nave passeggeri che ha preso il largo, con lo sguardo che cerca disperatamente il porto di partenza, da tempo scomparso alla vista; mentre di porti d’arrivo – questa è un’ipotesi — difficilmente se ne vedranno. E intanto che si vive e passa il tempo, dal ponte lido si può invece osservare il susseguirsi dei tramonti, sempre di meno e alle volte feroci. Per queste ragioni, anche se oggi ritengo indispensabile mettere mano alle canzoni di gioventù, so bene che con la lima dell’età adulta andrò a smussare anche un po’ di quella freschezza che non ritroverò più: riprendendo i vecchi testi, in un certo senso, li ripulisco dalle ingenuità di gioventù per far spazio a quelle dell’età adulta.
Per esempio, si chiamava “Gli amori sbagliati” una canzone di metà-fine anni ’90, ed era uno dei cavalli di battaglia — sarebbe meglio parlare di puledri — dei Suoni e Rumori Popolari, un progetto musicale del quale facevo parte. L’ho ripresa in mano qualche anno fa, revisionata e le ho cambiato nome ed età: “Amore e disamore”.
O ancora, nella prima stesura, “Al prossimo bicchiere” parlava di due amici, le cui strade si separano sul finire della gioventù, che un giorno si incontrano fortuitamente in un bar, si ritrovano umanamente e rievocano vecchi ricordi, soprattutto in riferimento alle ideologie di allora e alle appartenenze politiche. L’ho scritta nel 1996, dopo due anni dalla discesa in campo di Berlusconi, con forti speranze per una giustizia sociale da ricostruire affidandone il compito a una sinistra parlamentare. Poi, il mio essere di sinistra è diventato un riconoscersi nel pensiero libertario. E lì sono rimasto, come una roccia nella brughiera. Oggi sarebbe per me impossibile riscrivere quella canzone, ma forse i due amici di cui parlavo erano io da giovane e io da adulto…

Amico mio di ricordi, parole e vecchi giorni
di speranze e sorrisi in quei bicchieri colmi
aspettando il tempo che ora ci accompagna
incerto e zoppicante come una vecchia cagna

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