_DIETRO LE QUINTE DI CANZONI DA SOLO

DIETRO LE QUINTE DI CANZONI DA SOLO

Ho ritrovato un rimasuglio di riprese audio-video di prova nel ROPECave Studio di Serrenti, del 2016 a.C. (avanti Covid-19): in una stecco miserabilmente due armonici in “Oh mare”.
La parola inglese backstage rende efficacemente il significato di quello che altrimenti direi un dietro le quinte.
Nello studio di registrazione, il ROPECave, eravamo in tre: io, Roberto e Carlo (cantautore, fonico e grafico). Vi entrammo per fare delle registrazioni in presa diretta di alcune canzoni e delle riprese per realizzare il video di “Del tempo”, ma ne uscimmo col materiale per confezionare un album, Canzoni da solo, di cui Luigi Viva, biografo di Fabrizio De André, scrisse: “Un momento di riflessione, quasi un distillato di anni di esperienze, un guardarsi allo specchio che evidenzia le indubbie capacità testuali dell’artista. Album che segna un punto di svolta nella sua produzione”.
Era il 2016 e il mondo, abituato alle epidemie, ancora attendeva quella del SARS-CoV-2, che appena scoppiata ha fatto riflettere e rallentare il ritmo di ognuno di noi, fino a rinchiuderci nelle case per provare ad arginare i contagi, come accadeva già dal XIV secolo. Lo scrittore israeliano David Grossman ipotizzava che la pandemia potesse insegnarci a essere più umani: «Quando l’epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente. Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso. Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge o al partner. Di mettere al mondo un figlio o di non volere figli. Di fare coming out. Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui. Ci sarà chi, per la prima volta, si interrogherà sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi. Sugli amori che non ha osato amare. Sulla vita che non ha osato vivere».
Quando cominciò il lockdown, altra parola inglese di indubbia efficacia, presi a scrivere su un apposito diario, ma a metà maggio l’ho chiuso, non perché fosse terminata l’epidemia, ma nemmeno perché mi fosse rivenuta la voglia di uscire. In fondo, era un’elucubrazione mentale fatta di sensazioni spesso contrastanti, spesso illogiche, spesso prudenti, quasi sempre irrilevanti. Ancora oggi, che sono qui a scriverne, mi pare che non si sia cambiati in meglio, forse non si è affatto cambiati: invidia, odio, indifferenza e individualismo sono rimasti attaccati alle protuberanze proteiche superficiali del Sars-Cov-2, anche nei casi in cui non si è entrati in contatto diretto col virus.
E comunque, il lockdown non ha modificato più di tanto le mie abitudini. Addirittura, il numero dei miei concerti si è portato nella media degli altri cantautori, nonostante i miei live in streaming siano stati pari a zero. In qualche modo, inizialmente il lockdown ha rafforzato il senso di condivisione collettivo e di unione, perché tutti si era nella medesima situazione di confinamento forzato. Ma, da quando è partita la cosiddetta fase 2, quella delle riaperture, la maggioranza delle persone ha ripreso a fare e a comportarsi come ha sempre fatto, mentre io sono rimasto fiduciariamente nel mio lockdown personale, ma molto più solo di prima.
Questa era una divagazione, ma è anche la prova che la pandemia mi ha lasciato qualche disagio piscologico…
Tornando al dietro le quinte di Canzoni da solo, vi sono anche i frammenti di due pezzi che furono scartati: “Canzone piccola piccola” ed “Ea”.
La prima nasce da una similitudine, quella della castagna che cade a terra protetta dal suo riccio spinoso a cupola. La scrissi nel ’93, quando i primi amici e amiche cominciarono a partire fuori dalla Sardegna per garantirsi un futuro lavorativo. Mentre scrivevo, sapevo benissimo che paragonare l’amicizia al riccio della castagna, che protegge, era azzardato, come intuivo che da lì a poco con qualcuno di loro mi sarei perso di vista, cosa che è accaduta.
“Ea”, che in gallurese significa acqua, è un’altra canzone del filone tratto dai saggi di Dolores Turchi: Mamuthones e maimones sono maschere particolari, presenti soprattutto nella Barbagia e nell’Ogliastra, ma un tempo diffuse in un’area ben più vasta, perché nei paesi dove queste maschere non compaiono più è rimasto il nome a designare un povero scemo, un pazzo, un buono a nulla, un sempliciotto.
Sinceramente non ricordo perché queste canzoni decisi di scartarle…
I cantautori sono visti spesso come quei cantanti che raccontano storie serie e tristi accompagnandosi con la chitarra, un po’ noiosi e compiaciuti. Con Canzoni da solo il sottoscritto ha confermato brutalmente l’appartenenza all’eletta schiera, rafforzando la citata diceria, ma questo dietro le quinte — non in elenco su youtube, ossia non indicizzato — offre la possibilità di cogliere gli aspetti giocosi e leggeri che stanno dietro il mestiere del cantautore, grande o piccolo che sia. Quella del cantautore è la mia seconda vita, ufficiosa, che corre parallelamente alla prima, ufficiale, che considero piena e appassionante più della prima, sicuramente più somigliante ai miei sogni e più vicina alla mia indole, contrariamente alla società che, se non la stigmatizza apertamente, la considera al massimo un vezzo, un capriccio, un passatempo o un hobby come il giardinaggio.

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