_DIVAGAZIONI, CANZONI, NAUFRAGI E FUNGHI

DIVAGAZIONI, CANZONI, NAUFRAGI E FUNGHI

Nel caso di un uomo solo che fa visita o si fa visitare dalla stessa donna, segretamente, da una trentina d’anni, una volta al mese, non penso possa parlarsi di prostituzione, che sia presente o meno un compenso. È amore vero e irreversibile, con carattere di abitualità e professionalità.
Qualcosa del genere accade fra me, anche se non vivo in completa solitudine, e le canzoni che scrivo: è una relazione misteriosa, clandestina, e se ne potrebbe parlare male; mi faccio domande, indago furtivo come un investigatore privato.
Sarà davvero ad Abacrasta che ho cominciato a giocare al cantautore, intrecciando parole e musica? Niente affatto: il gioco arriva da molto più lontano, per quanto le mie radici artistiche siano coperte dalla stessa terra argillosa.
Provo a visualizzare la prima immagine di me ragazzino con la chitarra e la penna in mano. Come col timelapse, è un attimo perché quel ragazzino coi capelli lunghi e gli orecchini divenga un uomo con la barba.
È evidente che di canzoni ne ho scritte una moltitudine, la maggior parte delle quali sono ancora inedite. Non c’è stata mai in me la presunzione, il desiderio o la volontà di innovare a tutti i costi la canzone d’autore; piuttosto, la smania, se mai ce ne fosse stata, era ed è quella di continuare in quel solco segnato dai maestri francesi, americani e italiani. In molti pezzi, se non in tutti, si sente l’eco deandreiano, ma non c’è niente di voluto: è la sua lezione che ho assimilato negli anni e che mi porto dietro, a volte ingombrante. E poi, per chi ascolta è molto più facile riconoscere De André, del quale conosce “Il pescatore” e poco più, che Guccini o addirittura Cohen. Gli artisti noti, i cosiddetti grandi, si può dire che abbiano rubato qua e là melodie e citazioni, a differenza degli artisti ignoti, spesso mediocri, che si dice che copino spudoratamente.
Nonostante dagli anni ’70 ai ’90 una piccola fetta di popolazione apprezzava i cantautori, la loro poetica e protesta in musica, oggi questo non è più un Paese per loro, il ché è inspiegabile. E con tutta la buona musica che possiamo ascoltare, si scelgono spesso le tribute band del grande rock ma anche della canzone d’autore, anche se gli artisti originali non li ascoltano proprio, anzi li ignorano o evitano come la peste.
Divagando sul tema canzone d’autore, visto che ho saltato repentinamente di palo in frasca, dalle puttane ai cantautori, tanto vale entrare nel merito dei contenuti, rivelando questa piccola miniera.
I personaggi delle mie canzoni sono spesso persone che, metaforicamente parlando, provano o hanno provato a emergere dall’acqua che arrivava loro alla gola, riuscendoci o fallendo; di gente che ancora un po’ e sarebbe affogata, e per salvarsi mette in campo ogni strumento e ingegno di cui dispone, facendo tutte le peripezie possibili, in modo goffo e con rabbia, appellandosi alla propria libertà, infrangendo — se ciò è necessario — le leggi. Riguardo gli aspetti normativi scritti che vorrebbero regolare la convivenza fra gli esseri umani ho sempre nutrito enormi perplessità e continuo a credere che in molti casi siano irragionevoli e ingiusti, e quindi violarli, può divenire una necessità.
Come un po’ adesso, mi perdo volentieri a parlare di musica, soprattutto di quella che faccio io: una certa riservatezza fa sì che possa imbarazzarmi per un complimento sincero o per una precisa domanda avente a che fare con un ritratto o uno scenario di qualche mia canzone; difficilmente riesco a essere chiaro, perché è spesso oscuro il processo di scrittura che ci sta dietro. In forma scritta, avendo il tempo di organizzare il flusso dei pensieri, capita che riesca a raccontare meglio le storie, i capelli, le funi o i bicchieri che cito, non solo per far baciare fra loro le parole. Similmente, anche in altri campi, la scrittura mi salva da facili naufragi e rischi concreti di incomprensione o incomunicabilità. Qualche volta, riordinando gli appunti scritti su file o pagine di carta, li rileggo. Ad esempio, adesso, mentre leggo, assemblo concetti e note sparse raggruppandole in questa di più ampio respiro, che scava nella mia vita di cantautore.
Ecco, ora leggo un appunto riguardante Canzoni sparse e credo che boicotterò le intenzioni di allora. C’è scritto: «Amo scrivere e cercare le parole, come se andassi a funghi, e le più difficili sono quelle da non dire. A quarantacinque anni gioco ancora al cantautore, ma con questo disco credo che la smetterò, per dedicarmi sul serio ai funghi».
Fortunatamente per la mia autostima, capita che prenda nota anche di considerazioni altrui, come questa dell’amico scrittore Giuseppe Cristaldi: «Meriti ben altro, caro Nicola, approdi altissimi. Sono certo che vi giungerai, musone e incazzato, abulico e magmatico, ma certo di fare il bene, nella sua forma più alta. Amo la tua poesia, la tua nostalgia labirintica, amo la tua opera che, fusa al tuo carattere, mi ha insegnato tanto».
E allora, mi dico che questo della scrittura è amore vero e irreversibile, con carattere di abitualità e professionalità, come per i cercatori certificati di funghi.

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