_GENOVA 2001, LE DITA CHE INDICAVANO LA LUNA

GENOVA 2001, LE DITA CHE INDICAVANO LA LUNA

Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare,
c’è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare.
La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l’onda.
Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda.
(“Piazza Alimonda”, F.Guccini)

Quando ripenso a quel luglio del 2001, mentre preparavo la tesi di laurea, mi viene in mente una folla enorme di ragazzi e ragazze che manifestava a Genova contro la globalizzazione, legittimazione del delitto del profitto, che i potenti della terra stavano promuovendo, amministrando e attuando.
Non stavo affatto bene, ma ero ormai giunto alla conclusione di un percorso e dovevo rimanere concentrato con la testa tra libri e manuali di ingegneria. La tivvù era costantemente accesa e sintonizzata sulle strade di Genova, la chitarra era accanto al letto.
Di quei giorni, la stragrande maggioranza delle persone ricorda un estintore, non il dito puntato contro il sistema che affamava il pianeta, come quando si fissa il dito che vorrebbe indicare la luna.
Il 20 luglio 1969, tra l’altro, è anche la data del primo allunaggio di un essere umano.
Chi era a Genova, ricorda ancora tutto nitidamente: il bruciore degli occhi per i gas lacrimogeni, la confusione, la voglia di provare a cambiare in meglio il mondo, la straordinaria opportunità di crescita civile e di cambiamento politico soffocati con la paura, le violenze spropositate delle forze dell’ordine.
Io non ero in quella strade, ma riuscivo a vederne il trambusto e a sentire l’odore del sangue che saliva dall’asfalto arroventato, fino alle narici. Il mio non esserci mi faceva sentire in colpa.
E la mattanza doveva ancora cominciare. La scuola insegna, ma la scuola Diaz di Genova ce l’ha insegnato inequivocabilmente e con estrema violenza, cosa sia disposto a fare il dominio per conservare il potere. C’era allora e c’è oggi, forse ancora più presente e rappresentata, un’Italia reazionaria, ipocrita, cialtrona, miserabile, finta benpensante e finta perbenista, razzista e devota all’odio, quella che qualche mese addietro gridava al licenziamento e alla lapidazione di un’insegnante antifascista, che esultava alla riabilitazione del “dottor mimetica”, il medico che durante il G8 gestiva l’infermeria della caserma di Bolzaneto, colui che insultava, picchiava e seviziava ragazze e ragazzi.
Chi era a Genova, ricorda Piazza Alimonda e il centro città raggiungibile solo passando per le strade deserte, senza auto, assediate da un silenzio inaspettato.
Chi era a Genova, ricorda le azioni dei Black Bloc, i cassonetti incendiati, il corteo smisurato, gli incontri con amici e compagni, gli oggetti, la sciarpa della Roma a coprire il sangue di Carlo Giuliani.
Io non ero in quelle strade, ma so che quando ci dicono buonisti, quei miserabili non sanno che l’epiteto che ci affibbiano è esornativo, ossia, che abbellisce con l’aggiunta di particolari: ad esempio, proprio come un essere umano buonista. Mentre, a cercare di abbellire la parola fascista è impossibile sull’intero orbe terràcqueo (un modo più ricercato di dire “la Terra”, come scrive Vera Gheno).
Il fascismo è un virus in grado di mutare, trasformarsi e adattarsi alle varie epoche.
Diciotto anni dopo quei fatti, sono ancora convinto che il profitto sia uno dei cancri di questa società, troppo impegnata ad ammassare, consumare e buttar via; eppure, per vivere più felici, basterebbe comprendere che la chiave sta nella condivisione, nella solidarietà, nell’uguaglianza e altre piccole cose, non nell’accumulo.
Come mio solito, vizio morboso, di quel luglio 2001, nel tempo ho scritto in alcune canzoni per imprimermi il ricordo, pur non avendovi partecipato fisicamente. Anche se la forma di scrittura del testo di una canzone, come la poesia, non è precisa quanto la prosa, può essere molto evocativa. D’altra parte, se si volesse essere esatti e inequivocabili, si farebbe soltanto del giornalismo (mi riferisco a quello serio).
E di quei giorni, ricordo tante dita puntate contro il sistema che avrebbe affamato ancor di più il pianeta. Li chiamavano no-global e pacifisti, come se quegli epiteti fossero ingiuriosi e squalificanti, proprio come oggi strillano buonisti.
Tiziano Terzani parlava di una società che mette a disposizione tante gabbie per piccioni e ciascun membro decide quale occupare, chi per fare l’avvocato, chi il banchiere, chi il funzionario, etc. In questa società di uomini e donne che diciamo liberi non siamo mai stati schiavi come ora, aggrappati e impiccati alle vane ambizioni di potere e del far quattrini, scordandoci di vivere.
Come quando si fissa il dito che vorrebbe indicare la luna.

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