_CANZONE D’AUTORE E ORSI BRUNI

CANZONE D’AUTORE E ORSI BRUNI

“Io non mi considero un pessimista. Io penso che un pessimista sia qualcuno che aspetta che piova. E io mi sento inzuppato fino alle ossa.”
(Leonard Cohen)

Quindici anni fa esordivo con la mia prima pubblicazione discografica ufficiale, ma con le canzoni mi adoperai molto tempo prima, per lo meno da un quarto di secolo. In questo periodo che ho visto trascorrere ho scoperto che l’album d’esordio va pubblicizzato in modo adeguato, non come feci io che lasciai che si distribuisse basandosi sul solo passaparola.
Con i concerti, a parte quelli in età puberale, mi misi in discussione per qualche anno, poco prima di essere ufficializzato come cantautore e poi, dopo una lunga scomparsa dalle piccole scene regionali, dal 2014 al 2018, quando di album ne avevo all’attivo già tre. Quindi smisi con i live: ritenevo gli spazi preposti non adeguati alla proposizione di quel tipo di canzoni che necessitano di attenzione da parte del pubblico.
Sul finire dei ’90 e poi al principio dei 2000 ho visto svilupparsi e in qualche caso scomparire tecnologie preposte a contenere musica, fui spettatore affranto della scomparsa del CD e prima ancora del Vinile.
Il mio è stato un tempo di attesa, perché i miei rifermenti artistici, l’humus in cui affondavo le mie radici, li vedevo imbiancare, ritirarsi e, in qualche caso, morire. Le novità interessanti nel campo della canzone d’autore, dirompenti in qualche caso — penso a Max Manfredi —, erano sbocciate che di anni ne avevo già 20. Poi con Max Manfredi diventai addirittura amico, cantammo insieme, io cantai per lui e lui per me.
In questi anni ho visto cambiare e scomparire l’industria discografica, cadere a pezzi e ridursi in un cumulo di detriti. Quel che ne resta non si impegna più a scoprire e promuovere una certa idea di canzone, di bellezza espressiva e musicale, ma solo i prodotti che possono rendere profitto nell’immediato, spesso cantanti con disfunzioni del linguaggio, afasici e disfonici. Il Club Tenco venne fondato a presidio di questa branca della canzone – Amilcare Rambaldi avrebbe voluto che fosse ancora quella la missione —, per scinderla da quella del Festival di Sanremo, ma oggi, in nome dell’innovazione e delle nuove modalità di espressione e comunicazione, è diventato la succursale di quel festival che a sua volta è la succursale dei talent show.
Ho visto, e il processo è tutt’ora in atto, soffrire la canzone d’autore, migrante e naufraga. Ho sentito dire che la canzone d’autore non è morta, semplicemente si è rinnovata, è cambiato il modo di farla. Non ci ho mai creduto, né che sia morta del tutto né che quella che qualcuno ci propina sia una sua evoluzione. In questi anni ho visto morire la ricerca della bellezza, cambiare il gusto delle persone, annegare qualche cantautore emergente, l’inesorabile immergersi di altri. La canzone d’autore, così come l’abbiamo conosciuta è in via di estinzione, come l’orso bruno, anch’essa a causa di un certo tipo di bracconaggio. Come ha scritto recentemente Mimmo Locasciulli, il suo tempo è terminato perché sono cambiati i parametri della percezione. Ripensando al discorso live, riferendomi solo a noi piccoli cantautori e cantautrici (per una mia tara utilizzo sempre il sostantivo cantautore al maschile, ma è ovvio che ci metta dentro anche le donne): gli spazi preposti sono inadeguati perché è scomparsa la gente interessata a sentire quel tipo di canzoni.
In questo tempo ho visto scorrere tanti avvenimenti e qui parlo solo di un aspetto apparentemente insignificante per il genere umano.

Nonostante tutto non credo che smetterò di scrivere: non è un’azione, un comportamento, che possa governare, forse a causa dell’irrazionalità che ne guida i passi. Infine, certamente anche le mie canzoni saranno sentite solo da una nicchia sempre più ristretta di gente affamata di canzone d’autore, vecchia e nuova, proprio come i reduci di una guerra che, per ora, noi cantautori attaccati alla linea classica e i fruitori appassionati di quella forma d’arte, perché di arte si tratta, detta guerra hanno perso. È comunque vero che forse non ci sono più i cantautori di una volta, ma certamente non ci sono più le orecchie di una volta.

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