_CANZONE GIÀ SENTITA

CANZONE GIÀ SENTITA

Scrissi “Canzone già sentita” probabilmente nel 1991, avevo diciotto anni. La data è imprecisa, desunta, visto che allora non usavo catalogare e collocare le canzoni. Non fu la prima composizione in assoluto, dal momento che ne avevo composto almeno un’altra cinquantina per la formazione hard rock nella quale suonavo la chitarra elettrica con mansione ritmica e grandi velleità artistiche. Però, “Canzone già sentita”, diversamente da tutte le altre, mostra una struttura e uno stile differenti che acquisii certamente ascoltando compulsivamente Via Paolo Fabbri 43 di Guccini, scuola e palestra per il vizio di scrivere che covavo già da allora.
Per questo dico che “Canzone già sentita” rappresenta un po’ il primo embrione del mio percorso di cantautore, il primo gradino della mia scala evolutiva, l’antropogenesi di quello che sono adesso, liberatomi però delle velleità artistiche.
Il testo parla di un passato, il mio, che allora era cortissimo. Ripresi in mano quel pezzo a quarantacinque anni e lo intitolai “Canzone già sentita #2”, dove il numero 2 è posto per una questione di deposito Siae e di diritti d’autore.
È vero, come dice Max Manfredi, che essendo stata questa canzone ripresa, abbandonata, corretta, dimenticata, innestata ad altre frasi verbali e musicali, il suo tempo comincia dal 2024, quando è stata pubblicata.
Nelle canzoni sono frequenti e urgenti i ritorni, i frammenti di passato vissuto che incrociano l’oggi con la tua vita di molti anni dopo. I ritorni sono spesso edulcorati dalla misericordia del tempo che si alimenta della precarietà dell’esistenza. I ritorni ti riportano dove sei stato, dove saresti voluto essere, dove hai sognato di essere, oppure dove non sei mai stato o non sarai più. Forse è per questo che per apprezzare pienamente canzoni, ma anche cinema romanzi e arte in genere, occorre sospendere il senso della realtà, in quanto queste opere non sono concepite per spiegare la realtà, ma per sognarla e porre i riflettori, illuminarla negli angoli più oscuri, sulle cose che solitamente non si riescono a vedere, su quelle bracate dall’oblio e che in altro modo non saprei raccontare.
Così, per ricostruire la datazione originaria della canzone ho dovuto riavvolgere la pellicola della mia gioventù e tornare a certi affetti, alcuni dei quali oggi smarriti e altri che si sono mantenuti (mantenere, verbo bellissimo, come dice Erri De Luca, tenere per mano).
Ma i ricordi a volte ingannano e falsificano date, stagioni, canzoni e realtà. Insomma, la mia prima canzone, che credo possa definirsi del filone ‘d’autore’, l’ho scritta a 18 anni e parlava di un passato allora cortissimo; l’ho poi riscritta a quarantacinque anni, e ora parla di un passato già troppo lungo e preponderante rispetto al futuro che mi trovo davanti.
Parafrasando Umberto Eco, tutti a sedici anni hanno scritto canzoni e poesie, come l’acne giovanile. I cantautori si dividono in due categorie, i bravi cantautori, che a un certo punto distruggono le loro brutte canzoni, e i cattivi cantautori, che le pubblicano e continuano a scriverne sino alla morte.

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