DIO E IL MERCENARIO
Mentre in passato scrivevo tantissimo, ero un fiume in piena, oggi lo faccio con parsimonia e spesso vivo di rendita, riscrivendo canzoni che vent’anni prima consideravo belle e concluse, ma in realtà erano appena cominciate. Un esempio: “Dio e il mercenario” è una delle mie prime canzoni.
L’ho scritta all’età di ventuno anni e, se non ricordo male, impiegai mezz’ora o poco più. In quel periodo sentivo l’esigenza di raccontare storie di fantasia ambientate in periodi storici precisi, come esercizio di inventiva e di narrazione. I riferimenti culturali, non tanti, li stavo ancora assemblando, e la cura del mio scrivere era piuttosto acerba.
“Dio e il mercenario”, nelle mie intenzioni, doveva essere una specie di racconto breve, con una struttura simile, ossia con un’introduzione, una parte centrale con al centro l’azione del protagonista e una conclusione che chiudesse la storia, non necessariamente a lieto fine — ero indeciso se il bene avrebbe dovuto sconfiggere il male o se il male avrebbe dovuto trionfare sul bene. Insomma, una specie di componimento di carattere narrativo che raccontasse i fatti come se fossero realmente avvenuti, però, scritto in versi e con una struttura metrica, da ascoltare su una musica e non da leggere su una pagina; esattamente l’opposto di quello che mi appresto a fare in questo appunto diaristico.
Nella prima stesura accadevano in successione una serie di avvenimenti macabri: il mercenario ammazzava in guerra un uomo che poi scopriva essere suo padre o suo fratello (non ricordo bene); lungo la via per il fronte derubava e violentava una monaca che poi scopriva essere sua madre… Quando l’ho ripresa in mano, molti anni dopo, ho eliminato alcune circostanze luttuose o le ho rese meno esplicite, conservando lo scheletro della canzone originaria e mettendo la melodia principale e quei quattro accordi in formalina.
Ecco, ciondola una monaca
ai piedi striscia la tonaca
Vede, cammino da dieci anni
cerco Dio, del figlio i panni
Io non chiedo perdono all’Immenso
ammazzo dietro compenso
Ora soldato di ventura
si svuota nella terra scura
non colpisce per ferire
né ferisce per guarire
saccheggia, non ha rimorsi
giacigli fetidi per riposarsi
Il mercenario sputa e mastica
nella notte putrida
impreca Dio prima del sonno
e Dio appare sullo scranno
con occhi vitrei e grandi mani
sa il passato e il domani
Forse lo stesso giorno in cui scrivevo questa canzone, ne abbozzavo un’altra che avevo già in testa, anch’essa con la struttura di un racconto e con tema storico inventato, ma con un taglio decisamente ermetico: “L’ortica rosa”.
Soffia il vento sotto un cielo celato
giallo e tetro autunno è arrivato
il bruco ignaro dei suoi mutamenti
come un re crudele dei tradimenti
Le prime piogge ingrassan le terre già madide di lacrime
di chi le coltiva per un pezzo di pane per non morire come un cane
©2015