_IL LIEVITO DI “TOLÙ”

IL LIEVITO DI “TOLÙ”

«Prima mia cura fu quella di ricaricare il mio fucile, appoggiando il calcio sul corpo del caduto: indi recitai un’Ave Maria e un Requiem per il trapassato. Io ho sempre ucciso il corpo, non l’anima dei nemici; l’anima ce l’ha data Iddio, e Dio deve riprendersela; il corpo è della terra e alla terra deve ritornare.»
(Psicologia criminale. Le confessioni di Giovanni Tolu. CORRIERE DELLA SERA, 16/09/1897)

Vicende di Giovanni Tolu (Giorgio Ansaldi, in arte Dalsani)

Due anni fa pensai di pubblicare un nuovo singolo: “Tolù”.
La canzone l’avrebbe dovuta produrre il maestro Giovanni Vicidomini, che curò gli arrangiamenti vestendola di note, fraseggi, rumori, suggestioni e ambientazioni bucoliche.
Due anni fa o giù di lì. Non la pubblicai e, verso metà del 2021, cominciai a ragionare a un nuovo album, così “Tolù” decisi di conservarla per l’occasione.
La canzone racconta di Giovanni Tolu (1822-1896), uno dei più noti banditi sardi dell’Ottocento.
Tolu nacque a Florinas, paese vicino a Sassari, in una famiglia di umili agricoltori. Nella società del tempo la presenza dello Stato sul territorio era rappresentata dalle compagnie barracellari, una forma di polizia rurale: squadre di guardie campestri che, in cambio dei contributi versati da allevatori e coltivatori, pattugliavano il territorio e lo proteggevano, sorvegliando i beni rurali e, in particolare, risarcendo i danni causati da furti, angherie e sconfinamenti del bestiame al pascolo.
Nel 1850 Tolu sposò la serva del sacerdote Pittui, nonostante la dura opposizione a queste nozze da parte del sacerdote. La giovane sposa, su consiglio di vicini e parenti, nonché dello stesso Pittui, assunse nel tempo un atteggiamento ostile, contrastando il marito su ogni decisione familiare. Fu così che il rapporto fra gli sposi si ruppe: le liti sfociarono in una vera e propria separazione quando la ragazza, in attesa di un figlio — si vociferava che il padre fosse proprio il prete —, si rifiutò di andare a vivere nella nuova casa che i due avevano scelto di comune accordo. A quel punto, l’intromissione nella propria vita familiare perpetrata dalle altre persone divenne per Tolu motivo di vendetta: con le percosse lasciò Pittui in fin di vita nella strada per Florinas. Dopodiché, Giovanni Tolu si diede alla latitanza che durò circa trent’anni, divenendo leggenda temuta e rispettata.
Come sempre, tutti gli accadimenti vanno calati nella realtà storica del secolo in cui si svolsero: nel 1850, quando il ventottenne Giovanni Tolu aggredì il prete Giovanni Masala Pittui, sedeva sul trono Vittorio Emanuele II, ultimo re di Sardegna e primo d’Italia; nel 1860, l’isola faceva parte del regno dei Savoia, e poi, nel 1861, venne inglobata dal regno d’Italia appena costituito. Nonostante la Sardegna divenne italiana, rimase una delle regioni periferiche dello Stato italiano, e la situazione peggiorò, anche a causa delle scelte del governo nazionale relative alla proprietà dei terreni comuni.

«Di viso piuttosto bruno, ha lineamenti perfetti, lunghi capelli e brizzolati; veste il poetico costume degli isolani.»
(Un famoso bandito alle assise. CORRIERE DELLA SERA, domenica 22/10/1882)

Alla fine della sua avventurosa vita da bandito, fu arrestato e, dopo soli tre giorni di dibattimento, assolto per aver agito in stato di legittima difesa. Quindi, si recò dallo scrittore e giornalista sassarese Enrico Costa chiedendogli di scrivere la sua biografia. Un anno dopo la morte del brigante, per carbonchio, fu pubblicato il libro, edito per la prima volta nel 1897.
Questa è pressappoco la vicenda che rese famoso il bandito di Florinas e che ha ispirato il testo della canzone, la cui prima stesura risale a un po’ di anni fa (altro che due anni!). Parafrasando l’amico cantautore Max Manfredi, quella storia sopra riassunta rappresenta il lievito madre con cui è impastato il brano.
Dallo scambio di pareri con qualcuno che ha sentito il lavoro in anteprima è emerso come il pezzo abbia un sapore antico, d’altri tempi, e che perciò potrebbe durare più di qualche istante, unità di tempo a cui ci ha abituati quest’epoca veloce. Mi è stato chiesto se la causa di tale sensazione fosse da imputare alla collaborazione col maestro Vicidomini che, non a caso, si occupa di musica popolare. Dal canto mio, ho risposto che con Vicidomini abbiamo affinato metodi e strumenti per creare canzoni distanti, ma spero non d’istanti, anche se sarà il tempo a darci ragione o torto. L’indipendenza è la magra consolazione che si guadagna il cantautore che per vivere debba fare altro di professione; altro rispetto allo scrivere canzoni. Perciò, posso permettermi di scrivere pezzi apparentemente vetusti e che non badano al mercato. Sia chiaro che nemmeno il mercato bada a me.

©2021