LA CANZONE
Cos’è una canzone? A questa domanda è difficile rispondere o, per lo meno, rispondere in modo esaustivo e soddisfacente.
La canzone potrei definirla dal punto di vista tecnico, come composizione musicale per canto e strumenti, ma nella categoria ci rientrerebbero pure le canzonette. Potrei inquadrarla in base agli aspetti musicali, ai cosiddetti generi, al contenuto e alla cura dei testi, e in relazione alle varie epoche; ancora, potrei affidarmi al giudizio, più o meno soggettivo, analizzare se siano creazioni artistiche di valore o meri prodotti commerciali destinati all’intrattenimento, allo svago, al consumo e alla vendita. In base alla loro utilità: se servano a qualcosa di concreto. E poi, utili a chi le scrive o a chi le ascolta?
Comincio col dire che le canzoni, piuttosto che dare risposte sbagliate, dovrebbero porre domande giuste, far ragionare chi le ascolta, insinuare dubbi, dare voce a chi non ne ha, accendere e puntare le luci su determinati argomenti, aprire gli scuri. Non dovrebbero essere polisemiche, perché ciò implicherebbe di poterle strumentalizzare, quindi ricattare. E già qui, comincio a girare intorno alla domanda iniziale…
I personaggi di cui raccontano le mie canzoni in qualche modo mi somigliano, anche se cerco sempre di lasciare il mio pensiero ai margini, senza inficiarle; è del tutto vero, come diceva Pirandello, che essi — i personaggi — tendono a prendere possesso della scena narrativa, ma devono continuamente lottare contro l’intromissione dell’autore per ritagliarsi uno spazio autonomo. Mi è capitato più di una volta di scontrarmi con certi personaggi di fantasia, addirittura deprecabili, coi quali non ho assolutamente nulla da spartire.
Invece, quando scrivo testi autobiografici, cerco di mascherarli e abbellirli con metafore e narrazioni barocche. Viceversa, sono io a indossare maschere, come se utilizzassi degli schermi da frapporre fra me e l’ascoltatore (è la funzione che inconsciamente affido al leggio). È un gioco dell’infanzia, come quando ci barricavamo sotto baracche di legna, canne e sacchi, oppure nel ventre del campo di cardi lavorato a stanze e cunicoli con le pareti alte e spinose.
Nella scrittura sono abbastanza attento sia ai significati che ai significanti, alle immagini, nonché alla forma metrica, alla struttura, all’architettura della canzone. A volte mi servo di rime baciate, alternate, incrociate, gioco con le simmetrie e gli incatenamenti dei versi, pesco parole piane, sdrucciole o tronche, riuscendo a esprimere ciò che avevo in mente. Altre volte è più difficile servirsi di una metrica precisa e vado a cercare semplici assonanze e allitterazioni; se ho necessità di uscire dalla gabbia metrica inserisco rime solo nel mezzo delle strofe o solo in chiusura delle stesse, oppure le evito deliberatamente.
Le allitterazioni non interessano solo l’arte retorica, ma anche la lingua comune. Nella scrittura dei testi ne faccio uso o mi faccio ispirare, delle volte per ambiziose finalità stilistiche e, delle altre, come aiuto mnemonico. Nelle musiche, fra ripetizione di suoni o di accordi, intervalli e particelle ritmiche, ne abuso proprio, perché detesto le canzoni senza capo né coda.
Lo schema e la forma possono incatenare l’autore e di Dante, innegabile verità, ce n’è uno solo, stella che brilla nell’eternità delle sue cantiche.
Da canzone a canzone, anche appartenenti allo stesso album, cambiano i registri linguistici, ermetici oppure spiccatamente narrativi, con contrasti sintattici e semantici. Tutti espedienti ben noti alla vecchia scuola.
Ma, non ritengo di possedere uno stile unico e identificabile, un cartellino di riconoscimento, nei testi come nelle musiche.
Credo che le canzoni siano spesso vere, anche quando non dicono la verità; nel caso della “Canzone”, dove ho provato a spiegare cos’è, dal mio punto di vista, una canzone, penso di aver detto sì e no un millesimo di verità.
Altri autori e cantautori, prima e meglio di me, hanno provato a fare altrettanto, altri lo faranno, perché è una nostra piccola ossessione. Invece, raccontare le canzoni attraverso gli appunti, scavandoci dentro fino a palparne l’ipotesto, somiglia all’esecuzione di un’autopsia o, quanto meno, all’analisi fredda e minuziosa propria dell’anatomia, quindi, ciò si addice meglio a un anatomopatologo.
Le canzoni possono far insorgere sensi di colpa negli autori, come scriverle — è il caso della “Canzone” — nei momenti in cui Cleopatra si abbatteva sulla Sardegna.
E allora, cos’è una canzone? Ho provato a raccontarlo nella “Canzone”, senza riuscirci e, perifrasi a parte, non è né concisa né tanto meno coincisa.
Anzi, ho confuso ancor di più le idee a chi pensa che le cose che dico in quel testo rappresentino per me la canzone: le canzoni sono molto di più, o molto di meno, per me che gioco a scriverle. “La canzone”, in particolare, fa acqua da tutte le parti o ne imbarca fin troppa.
©2016