CENT’ANNI FA NASCEVA A SÈTE
Cent’anni fa nasceva a Sète, in rue de l’Hospice, Georges Brassens, il poeta con la chitarra che a 60 anni precisi dovette assentarsi. Con le parole, prese di mira il potere, i politicanti, i benpensanti, mescolando temi anarchici, anticlericali e amorosi. L’umanità di riferimento era il sottoproletariato di Parigi.
Raccontò di essere talmente anarchico che attraversava nelle strisce pedonali per non avere a che fare con la gendarmeria, e ciò svela tanto della sua sottilissima ironia e del suo spirito dissacrante.
Fabrizio De André disse di non essere sicuro che se non avesse ascoltato le sue canzoni avrebbe scritto quello che ha scritto, ma di essere certo che se non avesse ascoltato le canzoni di Brassens non avrebbe vissuto come ha vissuto. E ciò potrebbe valere anche per i cantautori a venire, fra i quali umilmente e senza pretese mi ci ficco pure io.
Forse, “La complainte des filles de joie” è la più bella canzone che parli di prostituzione, che non a caso valse a Brassens il sostegno pubblico del Collettivo delle prostitute parigine. Senza accanirsi contro nessuno e senza mistificare i termini della mercificazione del sesso, Brassens metteva in guardia tutti, perché quelle donne che fanno l’amore tutta la vita e si sposano venti volte al giorno non si godono mai la festa, e c’è mancato poco, caro mio, che quella bagascia non fosse tua madre, quella puttana che pigli per il culo, credimi sulla parola.
Qualche sera, capita che il suo fantasma mi venga a trovare: sono quei giorni che, con la chitarra sulla coscia, mi dico che voglio provare a raccontare una storia da mettere in musica in stile Brassens.
Tempo fa, nel 2018 a.C., partecipai a un progetto a tema Brassens: si trattava di interpretare in italiano le canzoni del cantautore francese. Le traduzioni erano di Salvo Lo Galbo.
A me spettarono:
- Le roi – Il re (dei coglioni);
- Les oiseaux de passage – Le gru di passo;
- La mauvaise réputation – La cattiva reputazione.
Il progetto naufragò miseramente, non l’unico che mi capitò di vedere implodere su sé stesso. D’altronde, ben presto si ruppero irrimediabilmente i miei rapporti, non solo artistici, con la produzione, e le motivazioni, ancora una volta, le spiega Brassens: «Per riconoscere che non siamo intelligenti, bisognerebbe esserlo».
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